In generale il Problem Solving è un metodo comprovato per fare fronte ad un problema o una sfida in modo veloce, efficiente ed efficace.
Il Creative Problem Solving è un criterio per risolvere i problemi non solo in modo veloce ed efficiente ma anche e soprattutto in modo creativo ed innovativo.
Il Creative Problem Solving è il processo che aiuta le persone a risolvere i problemi che si devono affrontare mediante l’elaborazione di idee innovative, che poi vengono trasformate in azioni per realizzare i propri obiettivi.
Il Creative Problem Solving è un vero e proprio sistema completo che aiuta a “sfruttare al massimo” i nostri processi di pensiero e che riesce ad accendere deliberatamente il pensiero creativo e produce soluzioni innovative.
Definizione Creatività
La creatività in generale secondo la Treccani, è la capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia (Treccani).
In questa definizione ci sono tre parole molto importanti: “creare”, “intelletto” e “fantasia”.
Ergo, una persona può definirsi creativa quando riesce a processare mentalmente una fantasia o un’idea, e trasformarla attraverso il proprio intelletto, in qualcosa di reale.
La creatività quindi andando nello specifico è la capacità di:
trovare idee o soluzioni nuove
combinare gli elementi a disposizione in qualcosa di nuovo e “funzionante”
capacità di risolvere problemi in modo originale
capacità di modificare l’esistente migliorandolo
Ecco perché possiamo affiancare il concetto di problem solving alla creatività, ed ecco da dove nasce il Creative Problem Solving
La creatività della campagna pubblicitaria della Toyota Prius di Oliviero Toscani
Ma basta parlare di teoria e definizioni, come ben sai mi piace essere pratico e cerco sempre di accostare concetti astratti e definizioni a casi studio reali.
Del resto credo sia il modo migliore per fare diventare un concetto astratto in qualcosa di tangibile e soprattutto applicabile nelle nostre strategie di branding awareness.
Oggi ti parlo di questa campagna pubblicitaria:
Non so se ne hai già mai sentito parlare o se hai già visto questa pubblicità.
Si tratta di una campagna pubblicitaria della Toyota Prius, realizzata dal grande fotografo Oliviero Toscani.
Per chi non lo sapesse Toscani è autore di fotografie e campagne pubblicitarie fantastiche con cui più volte ho avuto l’opportunità di lavorare.
Continua a leggere e ti racconto cosa abbiamo fatto insieme.
Intanto analizziamo bene questa campagna pubblicitaria per carpirne la “semplice” genialità.
Infatti Oliviero Toscani partendo da una idea semplice è riuscito a raccontare l’essenza stessa del prodotto che stava pubblicizzando.
Analizziamo l’immagine punto per punto:
Come vedi l’immagine mostra una famiglia di Amish intorno ad una Toyota Prius.
Starai pensando? Qual è il nesso? Te lo spiego subito.
La Prius è stata la prima auto ibrida venduta al mondo ed essendo un’auto elettrica, è ecologica e con un impatto ambientale tendente allo zero.
Gli Amish sono una comunità religiosa fondata da Jacob Amman nel Cinquecento in Svizzera, stabilitasi negli Stati Uniti d'America dal Settecento. Questi vivono senza alcun tipo di tecnologia nel rispetto della natura, sono contadini e artigiani in campagne che tengono gelosamente libere dalle intrusioni della civilizzazione che possano intaccare i loro princìpi guida, come si legge su Wikipedia.
Un pubblicitario qualunque avrebbe compiuto scelte più banali, come ad esempio, la contrapposizione tra i gas di scarico prodotti da un’auto a combustione e il rispetto della natura.
Oliviero Toscani, che non a caso è definito da molti un genio visionario, ha invece associato al concetto di semplicità e di rispetto per l’ambiente, una famiglia di Amish per far passare un preciso messaggio.
Ovvero: “Questa macchina rispetta così tanto l’ambiente che la sceglierebbe persino un Amish”
Se, quindi, una famiglia di Amish decide di utilizzare una Prius, vuol dire che quest’automobile è veramente rispettosa dell’ambiente.
Semplice e geniale, ma non banale.
Questo, per me, è un esempio concreto di creatività fresca.
Il mio progetto con Oliviero Toscani
Uno dei progetti in cui ho collaborato con Toscani, è stato quello legato al Centenario dell’Inter.
Avevo conosciuto Toscani, alcuni anni addietro, lavorando sul packaging delle patatine San Carlo (stavamo sviluppando il packaging utilizzando foto di Toscani e di sua Sorella Marirosa Ballo).
L’Inter nel 2006 si apprestava a riprogettare tutta la propria identità visiva in vista delle celebrazioni dei cento anni della fondazione nel 2008.
Ero andato ad incontrarlo un pomeriggio di settembre nella sede di allora dell’Inter, in via Durini, e successivamente durante un derby allo stadio Meazza una domenica dei primi di ottobre, appena dopo pranzo.
Mi aveva raccontato di aver bisogno di una persona che potesse seguire il progetto direttamente dalla sede della società per un po’ di tempo.
L’obiettivo era ambizioso: dovevamo riprogettare / aggiornare l’identità visiva dell’Inter negli anni a venire in vista della celebrazione del 2008.
Revisione del marchio e dei loghi delle società affiliate (molte legate alla beneficienza), rivedere tutti i materiali di comunicazione (campagne abbonamento, cataloghi scuole calcio, materiali promozionali per gli Sky Box…), inoltre era prevista anche la supervisione di tutto il merchandising e dei relativi cataloghi.
Insomma un progetto di Re-Branding e Brand- Extensions a tutti gli effetti.
La cosa, lo ammetto, un po’ mi spaventava (un po’ perché sono molto scrupoloso e un po’ perché effettivamente il progetto era molto complesso) e da quello che avevo capito il team non era molto numeroso: c’ero io e un paio di altri collaboratori (non sempre disponibili).
Nonostante tutto ho accettato la sfida, innanzitutto perché per me poteva essere un’esperienza a contatto diretto con un cliente di primissima importanza. E poi perché quando lavoro senza filtri (tipici delle agenzie), a stretto contatto con il committente, riesco a dare il meglio.
Questa cosa del rapporto diretto con il committente mi gasava non poco. Ognuno di noi ha una propria sensibilità e solitamente, viste le esperienze fatte fino ad allora nelle grandi agenzie di pubblicità di Milano, quando il rapporto con il cliente viene gestito da un account, il flusso delle informazioni è sempre filtrato dal punto di vista del nostro referente (che non sempre coincide con la nostra).
Proprio per questo motivo, intuivo che questa esperienza avrebbe potuto davvero essere formativa e sfidante.
Biscione Nerazzurro
Obbiettivi
L’Inter aveva bisogno di un simbolo forte da poter utilizzare sia sul merchandising, sia sui materiali di comunicazione. Aveva diverse mascotte, tra coccodrilli e animaletti fumettosi vari che poco avevano a che fare con la storia della società calcistica (molto adatti per dei portachiavi per bambini, ma poco rappresentativi per l’Inter).
Una domenica pomeriggio, durante un derby Inter-Milan, ricordo che toscani mi chiamò perché aveva visto in TV un drappo enorme, alzato dagli interisti della Curva Nord del Meazza, raffigurante un biscione colorato di nero e azzurro. Mi chiese di accendere immediatamente la TV e di guardare quello striscione.
Dovevamo pensare a un nuovo biscione per l’Inter, progettato partendo dalla storia del simbolo visconteo (Il Biscione Visconteo è il simbolo di Milano) reinterpretato in chiave interista.
Sviluppo del Design
Il lunedì mattina ho iniziato a ricercare la storia del Biscione originale: quello dei Visconti.
Il biscione era il simbolo della casata dei Visconti che iniziarono ad utilizzarlo nel IX secolo. Essi diventarono poi signori di Milano nel 1277, trasmettendo così il simbolo all’intera città e quindi al Ducato. Con l’avvento degli Sforza, imparentatesi con i Visconti che succedettero loro alla guida dello Stato milanese, il biscione fu mantenuto come simbolo della nuova casa ducale e rimase ben oltre a rappresentare lo Stato milanese.
Ancora oggi il biscione è il simbolo di Milano e compare in numerosi brand di origine milanese, come ad esempio nello scudo dell’Alfa Romeo.
Partendo da queste premesse, è quindi iniziata la ricerca iconografica delle rappresentazioni storiche del simbolo. Volevo mantenere un forte carattere storico / araldico al biscione che avrei ridisegnato di lì a breve. Inoltre nelle intenzioni del brief, oltre alla necessità di introdurre un simbolo di carattere, c’era anche un po’ la volontà di strizzare l’occhio alla Cina, cercando di rendere il biscione anche un po’ un drago (animale mitologico, molto presente nell’iconografia cinese).
La cina è sempre stata importante per l’Inter, in quanto la squadra già dai tempi di Angelo Moratti, aveva una considerevole base di fan nel continente asiatico. Inoltre c’erano legami commerciali importanti tra la società milanese e la Cina che poi si sarebbero evoluti con l’acquisizione della società stessa da parte dei cinesi di Suning nel 2016.
Partendo quindi da una selezione di immagini, ho ridisegnato il biscione tenendo bene a mente le esigenze presentate nel brief: caratterizzare in modo marcato la silhouette affinché ripercorresse la storia iconica del simbolo e si aprisse all’iconografia orientale.
Inoltre ho sostituito la figura umana che il biscione ingoia (presente dai tempi paleocristiani e raffigurante il profeta Giona dell’Antico Testamento), con un nembo di fiamme.
Questo dettaglio per me era molto importante per aggiungere significato al simbolo riprogettato.
Mi sono ispirato alle fiamme del cane a sei zampe di Enrico Mattei (logo dell’ENI) per suggerire un collegamento al fatto che la proprietà dell’Inter (all’epoca la famiglia Moratti) aveva le radici nel business del petrolio.
Logo Inter Campus
Obbiettivi
Inter Campus è una società della galassia F.C. Internazionale che si occupa dal 1997 di interventi sociali e di cooperazione in 30 Paesi del mondo, utilizzando il gioco del calcio come strumento educativo per restituire ogni anno a bambine e bambini bisognosi tra i 6 e i 13 anni di età il Diritto al Gioco.
Nell’ottica di restyling dell’identità visiva dell’Inter, era necessario riprogettare tutti i loghi delle società del gruppo nell’ottica di coerenza e riconoscibilità.
Sviluppo del Design
Partendo dal logo dell’Inter e analizzando la stella presente, allora, nella parte alta, ho pensato di utilizzare quell’elemento come simbolo dei Paesi in cui Inter Campus opera. Ogni stella rappresenta una nazione, un’etnia. Ogni stella ha un colore diverso: un po’ una citazione a quell’United Colors of Benetton che lo stesso Oliviero Toscani ha reso popolare in tutto il mondo.
Logo 15° scudetto
Obbiettivi
Quando nel 2007, dopo lo scandalo di Calciopoli, l’Inter si aggiudicò il 15° scudetto, ci fu subito lo stimolo di celebrare l’evento con un logo speciale da utilizzare su tutti i materiali commemorativi.
Sviluppo del Design
In questo contesto e tenendo in considerazione gli avvenimenti dello scandalo appena concluso; cercai di interpretare il logo come un simbolo che trasmettesse un pizzico di ironia. Anche per sdrammatizzare le tensioni con i club concorrenti.
Infatti lo shape del logo celebrativo pur partendo da una forma tipica del mondo di riferimento (ricorda un classico gagliardetto di club), includeva il tricolore quasi a forma di linguaccia.
Uno scherzo rivolto a tutti quanti non credevano nella riuscita della squadra.
Packaging merchandising
Obbiettivi
L’inter ha una quantità quasi infinita di prodotti venduti con il proprio marchio. Proprio rivolti al mondo dei tifosi che vivono un mondo nerazzurro.
Si parte dall’abbigliamento sportivo, per passare attraverso i prodotti d’ufficio, panettone e colomba, fino ad arrivare ai kit del tifoso (sciarpe, cuffie, guanti).
Le categorie merceologiche sono le più disparate: ricordo di aver progettato anche un paio di sci e una tavola da snowboard marchiati Inter.
L’esigenza era quella di uniformare sotto un’unica identità visiva, tutti i packaging.
Infatti fino ad allora (era la primavera del 2007) la progettazione veniva lasciata ai singoli partner/fornitori che improvvisavano in base al proprio gusto personale, con risultati altalenanti e sicuramente disomogenei.
Sviluppo del Design
Nel tentativo di riportare coerenza e uniformità e dovendo affrontare categorie di prodotti tra le più disparate, decisi con l’avvallo di Toscani, di ripulire l’identità visiva, partendo da un concetto di pulizia offerto dall’ampio uso del colore bianco.
L’uso del bianco aveva due obiettivi, il primo (come detto) era sicuramente quello di ripulire l’esistente e fissare un nuovo punto di partenza; il secondo paradossalmente, era quello di valorizzare la presenza dei colori societari (il nero e l’azzurro).
Il nero e l’azzurro diventano elementi distintivi presenti in modo uniforme su tutti i pack. Inoltre questo nuovo approccio ha consentito di ridare importanza al prodotto che nelle versioni precedenti un po’ spariva per lasciare solo spazio ad una costellazione di strisce nerazzurre che sovrastavano tutto: contenuto e comunicazione.
Inoltre, come ricordavo più sopra, l’uso del bianco nella comunicazione interista, ha radici storiche che arrivano fino all’inter mitica di Angelo Moratti e della Grande Inter di Herrera.
Lavorare con Oliviero Toscani
Lavorare con Oliviero Toscani è stata un’esperienza di vita. Non solo un’esperienza professionale propedeutica nella gestione di problemi complessi (il brand di una società come l’Inter è molto complesso perché copre un’infinita quantità di attività) ma anche formativa, per lo stimolo alla mia sensibilità al fine di risolvere problemi tra personalità dal carattere molto forte.
Mi è capitato diverse volte di essere sotto pressione tra l’esuberanza di Toscani e le esigenze del management del Club. Questo tipo di situazione mi ha innanzitutto permesso di agire in un’ottica di soluzione, superamento dei contrasti e attitudine a guardare alle situazioni ‘out of the box’.
Non solo, lo stimolo creativo che Toscani ti costringe ad abbracciare (in un modo tutto suo, basato appunto sul conflitto, creato a volte ad hoc) un atteggiamento distaccato… ma non apatico… piuttosto direi lucido.
Paradossalmente le continue provocazioni, il continuo atteggiamento di pressione, se sei predisposto, accentuano quella tua lucidità, quella tua pace e determinazione che ti spingono a procedere (non curandoti del contorno) in modo freddo e appassionato allo stesso tempo.
È un po’ una formula magica quella che ho imparato.
Nei miei anni di insegnamento, lo scoglio più difficile è quello di riuscire a trasmettere ai miei studenti, un metodo per stimolare la creatività, per porre la mente su una frequenza precisa (diversa per ciascuno di noi) affinché si riescano a ricreare (quasi inconsciamente) quei meccanismi che ti portano a ragionare (quasi in trance) con in testa un solo obiettivo: la soluzione originale ed esteticamente coerente, di un problema… la definizione lucida di qualcosa che prima non c’era e che poi ci sarà (grazie a te).
Insomma, Oliviero Toscani, pur essendo una persona a volte molto sgradevole, per me è stata un po’ una medicina. Un vaccino. Una pillola che una volta assunta e assimilata, ti offre una sorta di passe-partout per la progettazione. Un metodo di stimolo al ‘creative problem solving’ che ti porterai sempre con te.
Non te l’ho mai detto, perché poi non ci siamo più visti… lo scrivo qui ora.
Grazie di tutto, Oliviero Toscani! Te lo dico con il cuore, anche se è stato come mangiare il Bitrex.
Conclusioni
La capacità di problem solving è fondamentale in ognuno di noi. Ci serve per stimolare la creatività, per porre la mente sulla frequenza giusta per trovare la soluzione migliore al problema.
Ognuno di noi ha probabilmente un modo diverso per raggiungere quest’obiettivo, ma una cosa è certa, la chiave del successo nell’ambito del design è: mettersi alla prova, analizzare bene l’obiettivo del lavoro che si sta andando a fare, conoscere alla perfezione la storia del brand su cui stai lavorando e conoscere il target di riferimento.
Solo così riuscirai a trovare la definizione lucida di qualcosa che prima non c’era e che poi ci sarà (grazie a te).